
"Il Libro Tibetano dei Morti". Opera notevolissima, Il libro tibetano dei morti è stato compilato sulla base degli insegnamenti dei saggi lungo un arco di secoli nel Tibet preistorico, insegnamenti tramandati oralmente. Venne quindi messo per iscritto, presumibilmente verso l'VIII secolo d.C., ma anche allora fu tenuto nascosto perché non ne venissero a conoscenza estranei.
La forma di questo libro inconsueto è legata ai diversi usi ai quali era destinato. Va detto innanzitutto che i saggi che lo scrissero consideravano la morte come un'arte-qualcosa che poteva venir compiuta in modo esperto o in modo sconveniente, secondo che si avessero o no le conoscenze richieste per compierla bene. Per questo il libro veniva letto come parte della cerimonia funebre, o al morente negli ultimi momenti di vita.
In tal modo si supponeva adempisse due funzioni: aiutava il morente a riconoscere la natura dei nuovi sorprendenti fenomeni che egli veniva conoscendo; e aiutava quelli che rimanevano a nutrire pensieri positivi, a non trattenere il morente con il loro amore affinché egli potesse entrare nel mondo di là in una giusta disposizione mentale, libero da ogni legame corporeo. Il libro contiene dunque una dettagliata descrizione delle varie fasi che l'anima attraversa dopo la morte fisica. Il parallelismo tra le prime fasi della morte che il libro descrive e quelle che mi sono state narrate da quanti hanno vissuto un'esperienza di pre-morte è davvero incredibile.
Nel racconto tibetano la mente o l'anima del morente esce dal corpo. Quindi, a un determinato momento, il morente si trova in un vuoto-non un vuoto fisico, ma un vuoto soggetto ai suoi propri limiti, un vuoto in cui la consapevolezza del morente non si annulla. Gli può accadere di udire suoni allarmanti e inquietanti, descritti come un rombo, un tuono, un fischio simile al vento, e scopre che lui stesso e quanto lo circonda è avvolto in una nebbia grigia e luminosa. Si stupisce scoprendo di essere uscito dal corpo. Sente e vede i parenti e gli amici che piangono sul suo corpo e lo preparano per il funerale, ma quando cerca di parlare, loro non lo sentono, né lo vedono. Non comprende ancora di essere morto, e si sente confuso. Si chiede se è morto o non lo è e quando infine capisce di esserlo non sa dove deve andare né che cosa deve fare. Lo invade un profondo rimpianto, e per un certo periodo rimane vicino ai luoghi che gli erano familiari in vita.
Si accorge di essere ancora in un corpo -chiamato il corpo "luminoso"- che non sembra fatto di materia corporea. Può attraversare rocce, muri, e perfino le montagne, senza incontrare resistenza. Lo spostamento da un luogo all'altro è quasi istantaneo. Il pensiero e la capacità di percezione sono meno limitati; la mente diventa lucidissima e i sensi sembrano più acuti e perfetti e più vicini al divino. Se in vita è stato cieco o sordo o monco, scopre con stupore che nel suo corpo "luminoso" tutti i sensi, come tutte le capacità del corpo fisico, sono stati sanati e rafforzati.
Gli accade di incontrare altri esseri che hanno un corpo come il suo, e quella che viene chiamata una luce pura o chiara. Il libro consiglia al morente che si avvicina alla luce di sforzarsi di provare soltanto amore e comprensione verso gli altri.
Il libro parla anche dei sentimenti di immensa pace e serenità che il morente conosce e di uno "specchio" dove tutta la sua vita, le azioni buone o cattive, viene riflessa perché egli stesso e gli esseri che lo giudicano possano vederla. Non vi può essere rappresentazione falsa o errata: è impossibile mentire sulla propria vita. In breve, benché il Libro tibetano dei morti contenga molte fasi successive della morte che nessuna delle persone da me intervistate ha raggiunto, si nota una somiglianza sorprendente tra le descrizioni di questo antico manoscritto e gli avvenimenti che mi sono stati narrati da americani del XX secolo."
